domenica 27 aprile 2025

Siracusa è vicina: ultimo incontro di Titti Preta a “Il Salottino” di Vibo sulle tragedie greche

Appuntamento conclusivo in preparazione al calendario di spettacoli in programma per l’estate

Fervono i preparativi, nella Vibo Valentia appassionata di cultura classica, per l’appuntamento conclusivo con la tragedia greca fissato per sabato 3 maggio alle 17:30 presso “Il Salottino”, che in Via Casalello 9 dallo scorso autunno ospita le “Conversazioni sui miti greci” della studiosa e divulgatrice Titti Preta. L’Associazione Socio-Culturale Vibo Valentia Città antica-Storia e società assisterà così al suggello del ciclo approfonditivo, che la docente del Liceo Classico “Michele Morelli” ha pensato per accompagnare la visione degli spettacoli organizzati al teatro di Siracusa dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico (9 maggio-6 luglio).


Elettra, eroina tragica di ieri e oggi

Il filo rosso del discorso sarà ripreso dall’affatto moderna figura femminile di Elettra, protagonista dell’omonimo componimento firmato da Sofocle e messo in scena proprio nel calendario siciliano. E, per la verità, donna peraltro ispiratrice di un’ulteriore opera eschilea e una altrettanta euripidea: punto di raccordo per i tre massimi tragediografi che la Storia ci abbia mai consegnato. Dal greco “la splendente”, era in origine una divinità pregreca della luce, configurata in seguito come figlia di Oceano, moglie di Taumante e madre di Iride e delle Arpie, o in alternativa una delle Pleiadi, figlia di Atlante e di Pleione, e madre di Iasio e di Dardano da concubina di Zeus.

Aedi e rapsodi, con la curiosa assenza di Omero, la fecero poi figlia di Agamennone, traghettandola nella drammaturgia sotto forma di erinni del sovrano miceneo ai danni della madre Clitennestra, colpevole dell’uxoricidio, e del di lei amante Egisto, contestuale usurpatore del trono. Questi non osava sbarazzarsene, ed Elettra persistette a vivere umiliata e maltrattata nel domicilio materno, meditando la necessaria vendetta. Omicida di entrambi, in combutta con il fratello Oreste, ella sposerà infine un amico di quest’ultimo, Pilade.

Vendetta dei figli contro la madre

L’atto di ristabilimento dell’originario equilibrio fu non casualmente portato a termine con l’ausilio di Oreste, sfuggito alla follia figlicida di Clitennestra proprio grazie alla sorella. Anzi, nella versione più antica del mito il solo attuatore del piano tramato era stato il figlio maschio; dobbiamo alla tragediografia classica il novum imprepensabile, con l’unico esempio di testo tragico comune al canonico trittico del V secolo a. C., e le dovute differenze.

Nelle “Coefore” di Eschilo, Elettra riconosce Oreste in concomitanza con la visita alla tomba del padre e con lui promette di compiere giustizia, senza comunque prenderne parte in prima persona. L’ “Elettra” di Sofocle abita in assoluto e volontario isolamento nella reggia di famiglia, sua esclusiva ragione di vita la vendetta, e la pesante mano del fratello è guidata dalla sua voce in liberatoria disperazione, gesto che sarebbe stata disposta a ultimare in solitaria anche nel caso di una previa morte di Oreste. Euripide ci presenta un’ “Elettra” agreste, allontanata dal palazzo e maritata con un onesto contadino, evenienza che addiziona al resto il risentimento per la condizione di vita non accettabile dalla discendente di un re, con culmine nell’eliminazione di un Egisto intento a sacrificare e di una Clitennestra invitata a tradimento dalla figlia nella povera dimora.



Dulcis in fundo, una tragedia e una commedia

Il personaggio è stato fortunato nella letteratura di ogni tempo. Insolita la riscrittura che Jennifer Saint ne ha dato nella sua “Elettra”, un romanzo che guarda alla Guerra di Troia dal punto di vista delle donne che l’hanno subita. La professoressa Titti Preta ci allieterà quindi, finalmente, con le altre due rappresentazioni siracusane che mancano all’appello: “Edipo a Colono” e “Lisistrata”.

È Pasqua anche per gli ortodossi: comunità di Vibo in festa negli stessi giorni dei cattolici

La divergenza tra i calendari risale alla riforma gregoriana e non mancano i tentativi di conciliarli


Fede personale e spirito comunitario. Sabato 19 aprile la città di Vibo Valentia ha visto attendere trepidante la risurrezione di Gesù Cristo pure da parte delle e dei credenti ortodossi, fratelli dei cattolici nella condivisione del medesimo credo, risalente alla Chiesa indivisa. La celebrazione è avvenuta nella chiesa di Sant’Omobono, sulla Cerasarella, tenuta in lingua italiana e ucraina dai protopresbiteri padre Vincenzo Lorizio (parrocchia vibonese di San Sofronio di Essex) e padre Igor Shvets (parrocchia gioiese dei Santi Boris e Gleb), chierici della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed esarcato per l’Europa meridionale.

Il calcolo astronomico della Pasqua

La coincidenza delle due Pasque cristiane è ogni volta un evento festoso e, contestualmente, di riflessione sui motivi della discrepanza temporale. Studiarne le cause remote obbliga a risalire all’adozione del calendario gregoriano in Occidente e poi per il quasi intero pianeta, occorsa a fine Cinquecento grazie al romano pontefice Gregorio XIII. Lo scollamento fra il datato calendario giuliano e il movimento della Terra si era ormai reso enorme e inconciliabile. Un nuovo computo del tempo prese le mosse esattamente dalla vittoria cristica sul regno della morte e, spesso dimenticato, ne fu autore fattivo il medico e astronomo calabrese Luigi Giglio. Questi, con la collaborazione del fratello Antonio, propose soluzioni che costituirono l’elemento portante della riforma, e il suo testo ricevette l’unanime approvazione da ciascun sovrano e Università cui il papa lo aveva inviato per un esame generale.

Con il provvedimento, per la Pasqua, si volevano operare due correzioni: riportare a data reale l’equinozio di primavera, allontanatosi di dieci giorni dal 21 marzo che il Concilio di Nicea aveva indicato; rimettere il plenilunio pasquale al posto che gli spettava, rispetto al quale si era allontanato di almeno quattro giorni. Il primo concilio ecumenico (325 d. C.) desiderava così, caratterizzando la domenica successiva all’equinozio primaverile come solennità di Pasqua, archiviare la questione dei quartodecimani, che pretendevano di rammemorare il “Passaggio” nella data originale ebraica, quand’anche non si fosse verificato nel giorno del Signore.




Perché due date differenti

Furono invece problemi politici a impedire a Costantinopoli l’accoglienza del calendario gregoriano: l’autorità ottomana temeva un pericoloso avvicinamento con Roma, minaccia per l’unità dell’impero; non ci si doveva scostare dal tradizionale calendario, cui sostanzialmente tuttora si ancorano le chiese ortodosse.

Il principio alla base della data pasquale non cambia, è quello normato a Nicea; è piuttosto la sua applicazione a due calendari diversi a determinare lo sfasamento della solenne domenica. Rivoluzionario, pure in tal senso, fu lo storico Concilio Vaticano II, disponibile a rivedere quanto fino all’epoca statuito purché si addivenga a una data comune per l’ecumene cristiana.





Dialogo ecumenico fra Oriente e Occidente

Passi in avanti per venirsi incontro e armonizzare le Pasque confessionali sono stati di recente condotti da entrambe le parti. Nel 1982 la seconda Conferenza panortodossa di Rodi confermava l’evidente inesattezza del giuliano, sentenziando tuttavia a livello pastorale l’impreparazione delle e dei fedeli a un eventuale simile cambiamento. Mentre nel 2001, profittando di un’altra convergenza della data pasquale (15 aprile), Giovanni Paolo II suggellava la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” incoraggiando la messa a punto di un consenso ecumenico. Auspici, in ogni caso, che tradiscono un prezioso intendimento di fraternità, fondata su un comune bagaglio culturale e spirituale. Tanto si respira nel magnogreco municipio valentino.

sabato 26 aprile 2025

Franz Liszt: il primo pianista moderno nel nuovo album del nicoterese Giuseppe D’Aloi

Il musicista si è cimentato nella riproposizione di brani dall’esecuzione virtuosistica


Musicista dal talento straordinario, Franz Liszt costrinse a soccombere in pieno Ottocento un gran numero di colleghi suoi contemporanei. Fu pianista e compositore, ottenne le massime onorificenze in ciascun Paese che lo ospitò, esercitò una garbata attività da critico. Parte della sua produzione, segnatamente alcune trascrizioni dedicate all’Opera lirica italiana, è ora ascoltabile in una nuova maestrale interpretazione eseguita dal nicoterese Giuseppe D’Aloi, autore dell’album monografico “Franz Liszt on Italian Opera”. Il disco, registrato per un saggio di dottorato e sua prima realizzazione in studio, data al 2021 ma è stato riedito su tutte le piattaforme nei mesi scorsi.


Franz Liszt, e la musica non fu più la stessa

Nessuno, fino a Franz Liszt, aveva avuto l’ispirazione di esplorare lo strumento del pianoforte in ogni sua risorsa, suonando con un sapiente uso di braccia e spalle per far fronte agli incessanti spostamenti di accordi e ottave, così come incrociando le mani e sfruttando meglio i pollici. È riconosciuto quale inventore in toto del poema sinfonico, genere da lui coltivato con perfezione e lucidità, grazie al quale ridiede impulso alla musica d’orchestra: nel frequentarlo, traeva spunto da motivi storici, pittorici, letterari o naturalistici. Sempre al suo genio è da ascrivere la coniazione della sinfonia a programma, sviluppata godendo di un’orchestra disponibile a sperimentare quanto buttava su carta: una tendenza a drammatizzare la sequenza dei movimenti sinfonici, quasi teatralizzandoli.

Ripercorrendo l’arte lisztiana si ha l’impressione di intravedere l’intento di portare a convergenza i vari linguaggi artistici, fondendo a più riprese musica e poesia (e pure le arti figurative e le bellezze paesaggistiche, come quando volle immortalare sul pentagramma le esperienze di soggiorno nel Bel Paese). Solo alle e ai virtuosi della tastiera è dato cimentarsi nel repertorio del maestro viennese, e Giuseppe D’Aloi, la cui carriera è già lodevolmente internazionale, supera l’esame a pieni voti.


L’album di Giuseppe D’Aloi

Degli otto brani inseriti nell’album, i primi tre sono tratti dalle “Soirée musicales de Rossini, S. 424”, ripresa che Liszt fa delle dodici canzoni rossiniane per voce e pianoforte (la raccolta prende il nome da incontri musicali tenuti a Milano e Parigi). “La promessa” è una canzonetta su testo di Piero Metastasio, molto leggera all’ascolto, con toni sentimentali e tocchi giocosi e ironici. “La gita in gondola” è una barcarola su testo di Carlo Pepoli, allegro incitamento a vogare rivolto a un marinaio, con il tema amoroso a sostenere il pezzo. “La pesca” è un notturno su testo di Pietro Metastasio, in cui il pescatore invita l’amata a raggiungerlo sulla spiaggia per godere la frescura della sera. I successivi tre numeri vengono invece dalle “Nuits d’été à Pausilippe – Trois Amusements sur des motifs de l’album de Donizetti, S. 399”, rifacimento di una silloge donizettiana di successo che segna una cesura in confronto alle prassi compositive precedenti: “Barcarola”, “Notturno” e “Canzone napoletana”, scelti oculatamente da Liszt, sono reminiscenze operistiche che, insieme con altre trascrizioni, contribuirono alla riscoperta di arie ingiustamente dimenticate.


Completano l’album “Réminescences de Lucia di Lammermoor, S. 397”, rielaborazione formale di temi dall’omonima opera di Donizetti, e “Grande paraphrase de concert sur Ernani, S. 432”, partitura o fantasia dal capolavoro verdiano che condensa spettacolarità e arte compositiva alla maniera del Carnevale veneziano ottocentesco.



La nascita del recital pianistico

Giuseppe D’Aloi è figlio della lisztomania, che allora gettò le basi del concertismo pianistico moderno: se oggi esistono esibizioni solistiche al pianoforte, lo dobbiamo all’ultimo dei romantici.

giovedì 24 aprile 2025

Nicotera meta turistica nazionale, un rilancio esemplare che sa di riscatto

Non ci avrebbe scommesso nessuno, e invece la buona volontà dei giovani ha fatto la differenza


Quali sono le prime caratteristiche a venirci in mente quando pensiamo a una località turistica? Sole, natura e mare non sono sufficienti: l’ospitale accoglienza del visitatore ne prescinde, essendo possibile persino in loro assenza. Da sondaggi e statistiche si evince che l’apprezzamento della vacanza è dato in misura maggiore dalle infrastrutture che regalano un soggiorno sereno e dalla benevolenza della comunità.

Il caso di Nicotera, “patria della Dieta Mediterranea”, è il più indicativo della nostra terra. Studiare la sua evoluzione ci aiuta a considerare quanto la volontà politica sia decisiva nel lanciare un piccolo paese collinare agli onori del turismo. All’indotto monetario da esso ricavato dobbiamo ascrivere lo sviluppo delle condizioni economico-sociali ivi esperite, una crescita che significativamente si registra da una manciata di tempo. L’indomani del secondo dopoguerra, èra di fiero riscatto e ricostruzione generalizzata, non fu particolarmente roseo per Nicotera. Le Amministrazioni succedutesi negli anni Sessanta non seppero rispondere con adeguatezza agli atavici problemi costituiti da strade dissestate ed edificazioni incontrollate, comuni per la verità a parecchi altri centri dell’Italia almeno meridionale. Sì, i flussi di balneari non sono mai mancati, ma il malcontento per le disfunzioni del sistema infrastrutturale (diffuso nondimeno tra la popolazione residente) poteva benissimo tagliarsi con il coltello. A inizio anni Settanta si disponeva pure di appositi finanziamenti già all’uopo stanziati, tuttavia la gestione commissariale allora stabilita non si dimostrava attenta al compito. Con la mancanza di fognature presso la Marina dal 1947, alla città spettava un triste primato a livello italiano, anzi a volerlo dire un unicum senza rivali. Le principali questioni vertevano su due fronti: mobilità e costruzioni. Per un verso, le vie cittadine interne presentavano grosse buche orizzontali, oramai veterane in quanto scavate durante precedenti lavori per la rete idrica e lasciate lì a importunare veicoli e pedoni; la nuova bitumazione si fece attendere parecchio. Per un altro, più grave ancora era l’impasse del Piano di fabbricazione, documento che dopo ben sei anni dalla stesura (a opera della romana Organizzazione tecnico-edile) fu approvato dal commissario prefettizio, salvo poi scoprire che frattanto le zone previste come edificabili erano andate esaurendosi, non potendo di conseguenza rispettare la programmazione originale. Così altri quartieri sorgevano periodicamente privi di una razionale pianificazione e lottizzazione dei terreni, rendendo difficoltosa la garanzia di strade collaterali, impianti fognari e acqua potabile; mentre l’erezione di un numero spropositato di ville, con case e palazzi addossati l’uno sull’altro, stava via via obliterando il tipico panorama che si godeva da Viale Castello.

Da allora, e fanno fede i dati Istat, i passi compiuti sono da gigante, epperò tuttora non è consentito affermare che tutto vada per il meglio. Talvolta sono privati cittadini ad addossarsi l’onere di ravvivare le estati con iniziative ludiche, pronti a colmare le latitanze istituzionali, musei chiusi compresi. I servizi essenziali difettano in ogni angolatura da cui li si guardi, che siano il trasporto pubblico o i punti informativi o ancora la manutenzione degli spazi. Pur faticando ad attrarre visitatori non di provenienza strettamente limitrofa, Nicotera spicca comunque per qualità di eventi divenuti tradizionali. L’intero litorale è in strenua attesa, in questo 2025, del Festival dell’Ospitalità, pronto a spegnere dieci candeline. Una rassegna espressione dell’antico spirito accogliente oltremodo radicato nella Magna Grecia: l’ospitalità era per noi un valore sacerrimo. Nel 2015 un gruppo di giovani, tornando a casa da fuori regione, ideò un innovativo modello di sviluppo, mettendo a fuoco l’identità locale da testimoniare allo straniero. Ci fosse, una qualità più rappresentativa dell’accoglienza per la cultura nicoterese! Per il tramite del festival, gli organizzatori (Associazione Culturale Progetti Ospitali) sognano il suo estendimento a valore universale, pratica quotidiana in primis per l’industria del turismo. E qua, senza che te lo aspetti, si scopre un record speculare a quello infelice della Marina, alla stregua di un atto riparatorio: la manifestazione non ha eguali sul territorio nazionale, al punto che operatori d’ogni sorta hanno trovato nei giorni del festival un’occasione imperdibile per ritrovarsi e confrontarsi.

A Nicotera si sta tracciando la via del futuro, mostrando che non conta da dove si parte, bensì dove si vuole arrivare. La missione è “ospitare”, perché di ospitalità si può campare. Il festival ci ha insegnato che il vero turismo è di comunità, e le vere destinazioni turistiche (lèggi “ospitali”) sono quelle che trasformano il turista in compagno di strada.

domenica 20 aprile 2025

Vibo Valentia. L’Istituto Industriale approda sulla prestigiosa rivista “Focus Storia”

L'istituto superiore vibonese partecipa da anni alla Focus Academy, progetto del mensile più letto in Italia

Da ben tre anni una scuola del Vibonese partecipa puntualmente a un’iniziativa nazionale della più letta rivista italiana, punto di riferimento per eccellenza nel mondo della divulgazione. E lo fa scrivendo regolarmente sulle sue pagine, con interventi che spaziano tra le curiosità della storia e della scienza. Un progetto, rinnovato senza soluzione di continuità, che coinvolge docenti e studenti in prima persona, pronti a mettersi in gioco per scardinare le proprie certezze e condividere con il pubblico e i lettori di Focus le scoperte effettuate.


L’istituto vibonese alla Focus Academy

L’Istituto d’Istruzione Superiore Itg e Iti e Ite di Vibo Valentia, diretto da Maria Gramendola (indirizzo di “Informatica e telecomunicazioni”), è uscito questo mese in edicola sull’ultimo numero di Focus Storia, brand del mensile italiano più venduto dedicato alle vicende del passato. Al network di Focus, principale e imbattuto hub per la divulgazione scientifica (con numerose pubblicazioni cartacee, canali e programmi radiofonici e televisivi, spazi di approfondimento in rete ed eventi dal vivo partecipatissimi), appartiene l’Academy, sorta di laboratorio didattico gratuito su giornalismo e comunicazione culturale. Partita nel febbraio 2021, si rivolge al ciclo secondario di secondo grado e da subito ha visto il coinvolgimento dell’istituto vibonese. Essa consiste nel seguire in diretta, per quattro appuntamenti settimanali, le riunioni di redazione che dànno vita ai due giornali di punta, con possibilità di scegliere il preferito: Focus e Focus Storia.


Il primo step vede come scopo la positura delle basi per il magazine in preparazione, decidendo gli argomenti da trattare in quello specifico numero. Nel secondo briefing si ideano gli articoli e si procede con la disamina delle fonti da cui attingere le notizie. Con il terzo passaggio ci si occupa della ricerca fotografica e dell’impaginazione. Al quarto incontro, infine, pertengono la grafica animata con la realtà aumentata (puntando lo smartphone su alcuni contenuti del periodico si accede a informazioni e media aggiuntivi), il mondo digitale costituito da sito Web e social, i rispettivi podcast disponibili sulle apposite piattaforme e la realizzazione della copertina, fase terminale prima di chiudere l’edizione e mandarla in stampa.



Giornalisti e divulgatori in erba

Ma non si assiste affatto passivamente: le studenti e gli studenti dell’Iti di Vibo sono chiamati a cimentarsi nella stesura di pezzi e interviste, contributi pronti a essere selezionati per trovare accoglimento sui rotocalchi. La scuola locale in questione predilige fin dagli inizi Focus Storia. Nell’aprile 2022 la 4^ F e la 5^ CF, con le professoresse Antonella Meduri e Anna Mandarano, hanno indagato l’invenzione del grattacielo e la battaglia navale più breve di sempre.





La stessa Anna Mandarano ha proseguito a occuparsene nei successivi anni: nel dicembre 2023 la 4^ F si è cimentata nell’espressione “quinta colonna”, nella più antica melodia, nella belligeranza spagnola durante la Seconda guerra mondiale, nell’ “obbedisco” di Garibaldi, nell’aquila simbolo imperiale e nella morte di Vincenzo Bellini; nel gennaio 2024 la 1^ F ha studiato Alberto da Giussano e la Mappa di Madaba.




Il numero di Focus Storia in edicola

Per l’aprile 2025 la docente è stata coadiuvata da un’ulteriore collega referente, Irene Greco, che si è aggiunta per guidare la 4^ F e la 5^ F, interessatesi di Roma “città eterna”, del detto “non plus ultra”, dell’alfabeto Braille, del giorno di riposo domenicale, di Ponzio Pilato e dello sterco portafortuna. È la prima volta in cui due intere pagine sono riservate alle e ai ragazzi dell’Iti di Vibo Valentia. Acquistiamo e leggiamo il numero 222 di Focus Storia… Un po’, è anche nostro!


domenica 13 aprile 2025

L’evoluzionista e divulgatore Telmo Pievani al Festival delle Scienze di Vibo

Lo studioso di fama internazionale è stato intervistato da remoto al Liceo scientifico “Berto”

Quasi in sordina ha rischiato di passare una conferenza di livello universitario tenutasi questa settimana a Vibo Valentia, grazie alla gentile disponibilità di uno fra i maggiori divulgatori italiani dell’evoluzione. Il Festival delle Scienze del Liceo Scientifico Statale “Giuseppe Berto”, denominato “Systemia” nella sua sesta edizione (unendo informatica, Stem e Intelligenza Artificiale), ha annoverato nella rosa delle e degli illustri ospiti il celebre Telmo Pievani, figura di spicco per la biologia evolutiva e la filosofia della scienza accademiche.


Un relatore dal curriculum onorevole

Telmo Pievani è professore ordinario presso il dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, dove insegna discipline biologiche e divulgative. È il primo filosofo della scienza ad aver ricoperto la carica di presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e lavora anche per l’American Museum of Natural History di New York, oltre a essere socio di svariate Accademie nazionali. Chiunque nel campo della teoria dell’evoluzione lo conosce, non foss’altro per la sua produzione libraria e gli spettacoli dal vivo che periodicamente porta a teatro. Se si effettuano ricerche online sull’argomento, i primi risultati non saranno che le pagine di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione, da lui diretto. Festival ed esposizioni scientifiche lo vedono costantemente nel board di organizzazione, e non c’è studente del settore che non abbia mai dovuto approcciare un qualche suo testo.

A intervistarlo da remoto per l’occasione, un’eccellenza pluripremiata dell’istituto: Giorgio Assisi della 5^ Aosa (Opzione Scienze Applicate), con un momento dal titolo “EvolutivaMente”. «Gli esseri viventi che non si sono ancora presentati in natura, non lo hanno fatto perché non si sono ancora verificate le condizioni contingenti necessarie alla loro emergenza oppure perché soffrono di limiti intrinseci nel loro sviluppo che ne impediscono la manifestazione?»: con questa domanda a bruciapelo il giovane ha inaugurato l’intervista, seguita dai ringraziamenti del relatore per l’attenzione riservatagli, alla presenza della dirigente Licia Bevilacqua.

I libri divulgativi di Telmo Pievani

Il maturando ha voluto seguire, nell’interlocuzione, un percorso alla scoperta dei saggi editi dall’autore, principiando esattamente con “Tutti i mondi possibili. Un’avventura nella grande biblioteca dell’evoluzione”, viaggio alla ricerca di quei mondi immaginabili ma (non ancora?) comparsi nella nostra realtà. La risposta sta probabilmente a metà delle due opzioni. Il dialogo ha toccato così il rapporto scienza-fede, da lui analizzato in “Creazione senza Dio”: la soluzione pare semplice, basta riconoscere a entrambe la potestà nei propri separati magisteri, però guai se l’una scavalca sull’altra.

Ma quale, a questo punto, la linea di confine fra scienza e filosofia, secondo un filosofo della scienza? «Nelle scienze evolutive rivestono ambedue un ruolo cruciale, la prima si avvalora della seconda e viceversa, ciò che conta è non rinunciare al rigore dell’oggettività», ha affermato Pievani. Dei suoi testi, particolarmente curioso è “Serendipità. L’inatteso nella scienza”, incentrato sulle scoperte che il caso ci pone sotto gli occhi mentre si sta cercando tutt’altro: c’è sì casualità nella scienza, tuttavia senza un osservatore arguto la Fortuna passa e ripassa a vuoto.

Natura e scienza sono imperfette

Scienza non è perfezione, come fede e filosofia non sono il contrario. Con “Imperfezione. Una storia naturale” lo scienziato spezza una lancia a favore di un caso a tratti capriccioso, epperò artefice della vita a noi nota. Perché “La natura è più grande di noi. Storie di microbi, di umani e di altre strane creature”, e chi pensasse di dominarla ne finirebbe catastroficamente travolto.

I Bronzi di Riace al “Morelli” di Vibo con un seminario dello studioso Daniele Castrizio

Aula magna piena per rendere omaggio ai guerrieri in bronzo più iconici della Magna Grecia

Dapprima caccia al tesoro, poi caccia all’uomo, infine caccia al mistero. Quella dei Bronzi di Riace sembra essere una storia da giallo novecentesco, e in parte certamente lo è. Protagonisti per un’ora di lectio al Liceo Classico “Michele Morelli” di Vibo Valentia, in occasione della Notte Nazionale del Liceo Classico, hanno portato docenti e studenti a sfiorare le vette dell’archeologia magnogreca con due pezzi di artigianato senza rivali. Conduttore del viaggio, l’esperto in materia Daniele Castrizio.


La Notte Nazionale del Liceo Classico a Vibo Valentia

Mentre altri 400 licei italiani e stranieri festeggiavano l’evento più atteso dell’anno, con performance che spaziano dall’arte al teatro sino all’enogastronomia, l’aula magna intitolata a Carlo Diano declinava il tema “Mediterraneo/Mediterranei: mare in mezzo alle terre, terre in mezzo al mare” disquisendo della scoperta mediterranea del secolo. Daniele Castrizio, numismatico e docente all’Università di Messina, ha guidato il pubblico ne “La notte dell’archeologia: i guerrieri venuti dallo Ionio” con un intervento fra i più seguiti.

Se non fosse stato per un subacqueo capitato da quelle parti per caso, oggi non staremmo a parlarne. Stava risalendo in superficie dopo un’immersione quando, con il fiato sospeso, notò affiorare dalla sabbia in profondità… Una mano! Troppa la curiosità per far finta di nulla, scese di nuovo verso il fondale e capì trattarsi di una statua in bronzo, completa per di più. E non era sola, perché accanto giaceva da tempo immemore qualcuno a farle da compagnia. Era il 16 luglio 1972 e una mareggiata aveva smosso le acque, fortuitamente, nei giorni precedenti. Stefano Mariottini, chimico romano con la passione per lo scuba diving, prima di partire in vacanza per la Calabria non poteva immaginare che avrebbe presto ricevuto in dono dallo Stato un malloppone da 125 milioni di lire, per riconoscenza. Da subito si mise in moto la macchina del fango, con accuse e dicerie che lo volevano un truffatore e un criminale.


L’Odissea dei Bronzi in Italia

Immediatamente i manufatti furono traslocati al museo reggino per i dovuti interventi restaurativi; ma quei laboratori, calabresi fino all’osso, non erano abbastanza all’avanguardia, non quanto i colleghi del Centro-Nord. La spedizione a Firenze fu inevitabile, con la promessa strappata di un pronto rimpatrio a opera conclusa. Nel frattempo, a Taranto, un convegno di studi stabilì all’unanimità la fattura greca dei capolavori, pur non scartando totalmente la possibilità di una realizzazione similgreca risalente al Rinascimento.

Cinque anni durarono le scrupolose operazioni fiorentine, con l’ausilio di tecniche per l’epoca avveniristiche; e arriva la prova del nove: studiando le terre usate per la fusione, il risultato tecnico-scientifico assicura sulla fusione avvenuta in Grecia. Il ritorno a casa fu irto di complicanze, dal soprintendente che temeva danni durante lo spostamento al presidente Pertini che volle esporli al Quirinale per quasi due settimane; successo garantito, 200 mila visite per i guerrieri partoriti dal mare.

Il fascino per l’archeologia

A quel punto fu chiaro che anche in Italia l’archeologia poteva stimolare l’interesse delle e dei cittadini, al pari di qualsiasi altro intrattenimento diportistico. Lo sa bene la classe 2^ A, coordinata dalle professoresse Stella Cosentini e Maria Concetta Preta, che davanti alla platea ha interpretato un testo da quest’ultima scritto. «Qualcuno si fece persino prendere dalla Sindrome di Stendhal», ha chiosato Castrizio. 500 mila persone accorse nella capitale fiorentina da tutto il mondo per ammirare qualcosa di estraneo, esotico, tutto fuorché “mediceo”. Storceva il naso, però anche allora l’élite culturale conservatrice fu vinta da chi non ha perso il contatto con lo stupore.

domenica 6 aprile 2025

Ultima settimana per la mostra di Cesare Berlingeri a Vibo Valentia: una lettura della sua arte

Opere piegate e pensieri incidenti, capaci di sorprendere e impressionare i visitatori. L'evento è dal respiro internazionale

Se dovessero chiederci di ridurre ai minimi termini l’espressione artistica figurativa, certamente dovremmo ricondurre questa al concetto di forma. La forma, unità minima, possiede svariati attributi, di cui il colore è forse il più evidente. Essa, con la sua sapiente distribuzione nello spazio, si è sempre sviluppata nel corso dei millenni alla luce di una ricerca armoniosa del bello e del vero, seguendo una graduale evoluzione che mai ha conosciuto drastici ed esogeni traumi con il passato. Finché non comparve il fenomeno della cosiddetta arte contemporanea.


La mostra al Valentianum

“Nella piega, una linea si riversa nell’altra, in una circolarità infinita”: è uno dei pensieri leggibili sulle pareti della mostra personale gratuita “Tra le pieghe dell’arte”, firmata dal calabrese Cesare Berlingeri e in esposizione temporanea presso il museo d’arte contemporanea Limen, sito nel Complesso Valentianum, fino al 14 aprile (lunedì-venerdì 09–12:15, martedì e giovedì anche 15–16:30). L’unico esempio italiano di galleria d’arte contemporanea realizzata in una Camera di Commercio e di proprietà dell’ente camerale, con un patrimonio di 204 opere provenienti altresì dall’estero, si struttura in tre collezioni tematiche. “Scene” punta su teatralità e scenicità della figura, “Segni” propone gesti artistici contenenti in sé il senso dei messaggi da comunicare, “Geometrie” sottolinea l’uso prevalente della forma geometrica.

A tal ultima sezione appartiene “Dipinto argenteo piegato” (2009), ritenuto il capolavoro del tesoro camerale permanente, realizzato proprio da Cesare Berlingeri, di cui la mostra vuole essere un tributo alla carriera. “Nell’arte non esistono divieti temporali”, verrebbe da pensare. L’artista interpreta la materia oggetto d’arte come piega della realtà, da cui il titolo “Piegature” assegnato a questo ciclo di suoi lavori: “La piega è l’altra faccia, l’una dell’altra”. Una forma in-colore, talvolta candidamente nivea e talaltra sprofondante in densissime tonalità, sfiorando una cupezza d’abisso. “Il colore possiede in sé una bellezza propria. Il mio modello è il colore” è scritto, non a caso, in una tetra atmosfera corvina. Pigmenti che artigianalmente produce in laboratorio.


Classicità e modernità

Berlingeri, “il maestro delle tele piegate”, è rappresentativo di quell’arte contemporanea che ha rotto brutalmente con l’antico, eppure non sembra disdegnarne i modelli violentandoli. “Viviamo un’epoca in cui tutto si mischia e si confonde, dove la storia diventa un gigantesco ammasso di spazzatura non differenziata, dove un’immagine pubblicitaria di un dentifricio è importante quanto la Gioconda di Leonardo Da Vinci”.

A chi lamenta l’inesistenza dell’esistente nelle opere contemporanee, egli sembra rispondere che “La più pericolosa delle droghe esistenti è proprio il reale che inghiotte le interferenze, disturba l’immaginario, il sogno”. E pure errerebbe chi confondesse l’arte con il decorativismo, ripiegato sul provocare fascino estetico: “Se lo scopo dell’artista è solo quello di destare meraviglia per la sua esecuzione, l’artista ha fallito”!


La novità di un’arte intimistica

L’etimo di “arte” svela una connessione inscindibile con la tecnicità dell’atto, irripetibile e non seriale, e inoltre generativo di nuovi linguaggi. Il visitatore, a un certo punto, si imbatte in un aforisma spiazzante: “Diceva, James Hillman: «Credo che la vera immagine sia quella della forma interiore, della forma psichica, della forma dell’anima», ed è qualcosa che abbiamo perso. Abbiamo confuso l’immagine con il visibile”. Se l’arte racchiude l’essenza di ogni tempo, Cesare Berlingeri non è da meno. “Il mio lavoro va verso la supremazia assoluta del colore e delle sue valenze emozionali. La mia scelta è stata sempre di giocare tutto sull’opera, su una scala cromatica ridotta”.