I prati di Kore
Martedì 30 aprile abbiamo svolto l’ultima giornata dedicata al progetto Voci e volti della città, organizzato dalla prof.ssa Maria Concetta Preta, con la visita alla mostra allestita presso il Museo Archeologico cittadino, dal titolo “I prati di Κόρη”. Incentrata su alcune figure femminili dell’antica Hipponion nel periodo ellenico, l’esposizione è stata inaugurata il 28 febbraio, per concludersi lo stesso giorno del prossimo anno. È a cura del Direttore Maurizio Cannatà, che le ha destinato la Torre Nord del castello, risalente al XVI secolo.
Ed è proprio su questo mastio d’epoca sveva che si consuma la leggenda, intrisa forse di un fondo di verità, di una delle più celebri donne vibonesi: Diana Recco. La sua ‘storia’ affonda le radici nel XVI secolo: nel 1508 Monsleonis viene occupata militarmente dai soldati di Ettore Pignatelli, capeggiati da Giovanni Del Tufo (o, secondo altri, Lo Tufo). Fra le accese proteste della popolazione, capeggiata da un’oligarchia di nobili, i suoi sgherri marciano fino al castello, del quale prendono possesso. Con il pretesto di trovare un accordo bilaterale, il neo-despota Del Tufo convoca i capi dell’insurrezione, uccidendoli a tradimento ed esponendo i loro cadaveri, come racconta l’esimio storico monteleonese Giovan Battista Marzano, sui merli della fortezza federiciana, a mo’ di avvertimento per tutti i rivoltosi ancora speranzosi. Coloro che sono stati brutalmente ammazzati avevano nome e cognome, riportati fedelmente sempre dal sopracitato Marzano: Giovanni e Ortensio Recco, Giambattista Capialbi, Domenico Capialbi, Francesco d’Alessandria, Sante Noplari, Tolomeo Ramolo. Diana Recco, parente dei due Recco, si vendica uccidendo Lo Tufo nel giorno delle nozze della figlia, accoltellandolo al cuore. A lei la professoressa Preta, sfruttando il suo talento da scrittrice, ha dedicato una poesia, naturalmente in dialetto, e un intero romanzo, dal titolo L’ombra di Diana.
La mostra, purtroppo, non dispone di moltissimi pezzi, ma, come fanno giustamente notare la docente e il suo fido assistente e blogger Ivan Fiorillo (in prima linea in ogni suo programma), è un bene poiché in tal modo lo spettatore può apprezzare sino in fondo la bellezza di ogni manufatto, con tema principale, come già detto, la donna dell’antica colonia greca. Persefone stessa, che dà il nome al progetto, è stata una figura divina ipponiate di primo piano: alcune versioni del mito che la riguarda identificano proprio la terra vibonese come luogo del celeberrimo rapimento, operato dallo zio Ade che la costringerà poi a diventare sua sposa. Più spesso, comunque, si tende a ritenere la città siciliana di Enna come “reale” teatro del mito. Tra i pezzi esposti, è da notare la testa di basanite ritrovata in una tenuta d’età romana marittima, che era stata prestata agli Stati Uniti (a Princeton) per lungo tempo, prima di fare ritorno a Vibo Valentia.
Nella seconda e ultima sala è presentata la storia della “laminetta orfica”, presente nel museo ma da tutt’altra parte, una delle pochissime a essere mai state ritrovate: realizzata in oro, è stata ritrovata in una tomba di una ragazza giovane, attribuita al V secolo a.C.; la sua superficie è decorata con una minuziosa calligrafia in lingua greca, il cui testo recita alcune indicazioni su come comportarsi una volta che l’anima del seguace dell’orfismo sia giunta nell’aldilà, liberandosi del (fastidioso) corpo. Sono disposti, inoltre, lungo le pareti molti vasi e statuette, in apposite teche munite di utili didascalie.
Giunto alla fine del mio percorso di formazione annuale, posso senz’altro affermare di essere stato avviato a un’esperienza molto positiva che ricorda come non serva andare lontano per trovare le tracce dell’antichità.
Un’attività, questa del 30 aprile, che valorizza enormemente il nostro sconfinato, ma poco apprezzato patrimonio culturale, che sembra essere disprezzato e tenuto in scarsa considerazione persino dai vibonesi stessi. Ringrazio dunque persone come la mia insegnante, che fanno del proprio mestiere una passione, in veste di guida alle nostre bellezze. Come lei ama ripetere, se è possibile, è sempre meglio scegliere la restanza, poiché è grazie al coraggio e all’amore di chi opta per la nostra terra che possiamo sperare di arrivare, un domani, al suo rilancio. Il quale, stando così le cose, rimane un miraggio.
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