I prati di Kore
Il 30 aprile la mia classe, con la prof. Preta, è tornata al castello di Vibo Valentia. Esso sorge dov'era ubicata grosso modo l'Acropoli di Hipponion, che in parte occupava con i suoi templi le vicine alture vicine, Cofinello e Cofino. Nonostante la prima fase di costruzione della struttura venga volgarmente attribuita all'età normanna, in realtà risale al periodo svevo, quando Matteo Marcofaba, governatore della Calabria, venne incaricato da Federico II di ricostruire quello che venne detto poi il Borgo Novo. Il castello, ampliato da Carlo d'Angiò nel 1289, assunse più o meno un aspetto simile a quell'odierno. Rafforzato dagli Aragonesi nel XV secolo e rimaneggiato dai Duchi Pignatelli, signori di Monteleone tra il XVI e il XVII secolo, perse quasi del tutto la funzione militare, assumendo quella di abitazione nobiliare. Il secondo piano fu demolito di proposito, in quanto pericolante, a causa dei danni riportati dopo il terremoto del 1783. Il castello presenta oggi delle torri cilindriche, una torre speronata ed una porta ad una arcata di epoca angioina.
Nella storia di Monteleone si racconta di una donna molto coraggiosa: Diana Recco. Nel 1502, dopo essere stato feudo dei Brancaccio, Monteleone riprende il libero status di città demaniale, condizione che però durerà pochissimo. Infatti sei anni dopo, Ettore Pignatelli, sulla base di documenti contestati dai nobili di Monteleone, fa occupare la città dalle sue milizie. Il conte asserisce di averla acquistata in feudo nel 1501 dal defunto re d’Aragona, ma di non essersi mai recato per prenderne possesso per alterne vicende, aggiungendo che il suddetto privilegio gli fosse stato confermato da re Ferdinando III nel 1506. Pignatelli affida il compito di prendere la città a Giovanni Del Tufo (o Lo Tufo), uditore del Re e Barone di Lavello in Lucania, che attraversa le mura angioine di Monteleone a capo di un drappello di sgherri e, tra le ostilità dei cittadini, si impossessa del maniero federiciano. Qui il Del Tufo, trascorsa una settimana, nel corso della quale si adopera ad assoldare mercenari, convoca i capi della rivolta con il pretesto di trattare, ma affoga il loro urlo di libertà nel sangue. Quando l’alba con le sue dita di rose cominciava a colorare le volte oscure del cielo, apparvero agli sguardi dell’atterrita città i sette cadaveri degli infelici monteleonesi che penzolavano e facean mostra sanguinosa di sé dai merli del castello. Un destriero chiede vendetta per i sette uomini uccisi in così tragico modo. All’alba di un bel giorno esso smette di scalpitare per le vie di Monteleone. Diana Recco, figlia e sorella di due dei sette martiri, decide di compiere la vendetta tanto attesa. Da piccola non aveva potuto farlo, ma adesso ha la forza e la ferma determinazione perché avvenga il compimento di un ineluttabile fato. Nella primavera di un bel giorno di inizio ‘500, in sella a un cavallo bianco, parte per recarsi a Lavello, dove Giovanni Del Tufo risiede. Nel centro lucano sono in programma le nozze della figlia del barone, Maddalena, con Ludovico Abenavoli. Egli nel 1503 aveva partecipato alla disfida del 13 febbraio contro i Francesi a Barletta, ragione della sua fama presso i posteri. Fuggito da Terni dopo avere visto la sua fidanzata Biancofiore in braccio a un altro, aveva successivamente sposato Letizia Asprella e ora in seconde nozze è pronto ad impalmare Maddalena Del Tufo. Nel 1519 Diana Recco si vendica ed uccide Giovanni Del Tufo. Dopo fugge e di lei non si sa più nulla. Viene accolta in qualche convento, come avviene spesso in quegli anni, specie dopo fatti di sangue. Tra storia e leggenda, Diana rappresenta l’esempio di una eroina che ha dato tutto per ottenere giustizia.
La professoressa Preta – dopo averci narrato questa leggenda popolare - ci ha fatto visitare la bella mostra “I Prati di Kore”, frutto di un ambizioso progetto culturale, che nasce da un proficuo accordo di collaborazione tra la Direzione regionale dei Musei di Calabria, guidata da Filippo Demma, e il Polo per l’Innovazione, la Cultura e il Turismo “Cassiodoro”. Si tratta di un approfondimento sull’universo femminile antico in chiave contemporanea. Poiché se la società greca antica fu profondamente patriarcale e maschilista, è altrettanto vero che per i Greci furono le donne, e non gli uomini, a rappresentare al meglio, con il loro essere, l’intera umanità. Fu l’universo femminile, e non quello maschile, a dominare il mito, ovvero quel sistema narrativo creato dai Greci (e insuperato da ogni altra cultura), volto a spiegare l’origine e il significato più profondo dei fenomeni umani e del cosmo. Tanti sono i personaggi femminili indimenticabili della letteratura greca, che hanno dato volto alle mille sfaccettature del pensiero e dell’agire umano. Antigone ad esempio, che vive ancora oggi in centinaia di testi di tutte le lingue, a esprimere il primato della legge morale su quella dello Stato, corrotta da periodi di oscurantismo e negazione dei diritti universali. E altrettanto numerose le divinità femminili, come la “nostra” Persefone.
Questa giornata museale è stata perciò un’ennesima esperienza molto intensa!
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