Un nuovo studio scientifico analizza i documenti prodotti per dare notizia delle scosse del 1638

L'attuale Convento di San Domenico a Soriano Calabro
Non c’è giorno, non c’è istante in cui oggi non si venga tartassati di contenuti e notizie. Ma è un’abitudine vecchia di soli pochi decenni, una manciata di secondi nella plurimillenaria vicenda umana. Nel Seicento il mondo funzionava diversamente. Beatriz Álvarez García, ricercatrice dell’Università Complutense di Madrid, si è chiesta di recente: come ha funzionato il sistema dell’informazione in seguito al terremoto calabrese del 1638? Indagando la storia di Soriano Calabro, a questa domanda ha dato una risposta con uno studio or ora comparso sulla Revista de Historia Moderna, edita dall’Università di Alicante, grazie al progetto europeo “Discompose (Disasters, Communication and Politics in Southwestern Europe)”.
La battaglia dell’informazione
27 marzo e 8 giugno 1638: due potenti terremoti scuotono la costa calabra del Tirreno, apportando ingenti danni in termini di vite e costruzioni. Una sequenza sismica di magnitudo 7 devasta e distrugge una ventina di comuni: tra la popolazione, impanicata, si contano decine di migliaia di vittime. Evento unico e imprevedibile, segnalato nei giorni precedenti dalle eruzioni di Etna e Stromboli, e si immagina anche da un innalzamento del mare, che lasciava presagire un possibile tsunami. Tragedia, è innegabile, però pure fonte di ispirazione per il futuro, modello di gestione per le emergenze. In tale occasione, difatti, le informazioni vengono adeguatamente trasferite dalla sfera riservata dei media governativi e amministrativi, di proprietà della monarchia o della Chiesa, allo spazio pubblico di gazzette e lettere. I canali ufficiali si vedono sorpassati dalla celerità di strumenti nuovi, più immediati nel raggiungere le persone.
Le corti di Napoli e Madrid sono immediatamente allertate, e come risposta si procede a verificare l’entità del fenomeno e promuovere riti religiosi per espiare i peccati commessi, non dimenticando le misure assistenziali per prevenire la diffusione di malattie. E si scatena, nelle tipografie, la gara a chi pubblica prima le notizie del fatto: gli stampatori Clemente Ferroni e Domenico Barbieri se le dànno di santa ragione, e per i testimoni dell’epoca le informazioni circolanti erano talmente numerose che intere pagine erano state riempite di resoconti inaffidabili.
La “propaganda” ecclesiastica
Protagonista di questa piccola rivoluzione informativa, a Soriano Calabro, il priore dell’Ordine domenicano, fra Francesco di Castelvetere: le notizie da lui fornite (redatte in relazioni, sermoni, cronache e documenti d’archivio) costituiscono un’illuminante finestra di conoscenza su quell’anno. A lui dobbiamo la costruzione della memoria culturale della catastrofe da un punto di vista religioso, consentendo l’elaborazione del trauma collettivo interpretandolo quale intervento della Provvidenza.
Già radicata e diffusa era la devozione a San Domenico, latore di immagini miracolose che non a caso proliferavano; evidentemente fu siffatto motivo a proteggere il convento sorianese, lasciato pressoché intonso dalle scosse. L’annuncio del nuovo prodigio si spande a macchia d’olio, raggiungendo la prospiciente Penisola iberica sino a oltrepassare l’Atlantico; d’ora in poi, San Domenico si aggiunge al novero dei beati da invocare per tutelarsi dalla telluricità, una figura tutelare da non ignorare.
Contraddizioni non significative
Poco importava se, in verità, la medesima struttura se la sarebbe vista brutta nei posteriori terremoti del 1659 e del 1783, quando l’edificio verrà completamente abbattuto. Il culto domenicano tuttavia non ne rimarrà toccato, tantoché della sua ricostruzione si discuterà all’estero. La forza della fede che travalica le costrizioni della razionalità.
Nessun commento:
Posta un commento