domenica 2 febbraio 2025

Immersione per immagini nel porto di Vibo Marina: la mostra al Castello archeologico

L'allestimento “Sinus Vibonensis” accessibile gratis domenica 2 febbraio. Capitolo a parte, fra le vetrine, spetta alla Tonnara di Bivona, oggi manufatto espressione dell’archeologia industriale


Le vie di comunicazione e transito, in antico specialmente, ponevano in relazione culture e popoli separati dalle asperità naturali. Bracci di mare, alture imponenti: strade e tragitti codificati venivano percorsi con l’incertezza dell’imprevedibile e la necessità delle commissioni. La strettoia che per eccellenza collegava gli odierni Tirreno e Ionio era nota come “Póros Tyrrhēnós”, lo Stretto di Messina o letteralmente il “passaggio tirrenico”. Un nome, “póros”, che in maniera significativa avrebbe poi indicato il promontorio su cui sorse autorevole la pólis di Hipponion, snodo commerciale verso l’Etruria e Roma. Il monte Poro.


Prossima la chiusura della mostra al museo

Sinus Vibonensis. Un mare di storia” è l’esposizione temporanea che da quattro mesi è visitabile in una apposita sala del Museo archeologico nazionale di Vibo Valentia, aperta al pubblico sino al 28 febbraio. L’idea è sorta per rendere onore al 250° anniversario della fondazione celebrato dalla Guardia di Finanza e proprio al Castello svevo festeggiato lo scorso 19 settembre. Il Reparto operativo aeronavale, che insiste sul nostro territorio, è attivo sull’intero spazio marino di Calabria, e una mostra che ne illustri le profonde radici storiche è una ulteriore nota di merito per l’ente culturale vibonese.

Gli indigeni preellenici indicavano l’attuale Golfo di Sant’Eufemia con il termine “Veip” (“golfo”, da cui il successivo “Vibo”), divenuto “Sinus Vibonensis” (“Golfo di Vibona”) allorché Agatocle, basiléus di Sicilia e non ancora tiranno di Siracusa, si occupò della risistemazione e ingrandimento in favore del porto ipponiate. Lì si costruivano imbarcazioni belliche e si smerciavano beni con tutto il Mediterraneo, tantoché Hipponion vantava sulle monete da essa coniate la raffigurazione delle anfore atte al trasporto del vino, ivi prodotto abbondantemente.


Il porto vibonese nella grande storia

Tali acque furono dai Romani difese nelle guerre puniche, più volte la flotta cartaginese vi combatté in scontri epocali, Cesare vi aveva stabilito la propria flotta personale con cui vinse il nemico Pompeo, ugualmente per il generale Agrippa di Ottaviano costituì l’avamposto per la sconfitta di Sesto e l’avviamento del rivoluzionario principato romano. Senza il porto valentino, il legname per l’edificazione del tetto sulla Basilica di San Pietro non sarebbe mai giunto; e gli Alleati avrebbero dovuto trovare un’alternativa per sbarcare sulla Penisola.

Da uno sfondo di un azzurro intenso emergono ceramiche greche provenienti da Corinto e Atene, preziosi vasi in pasta di vetro originari della Fenicia, recipienti vinari romani che circolavano in ogni regione del Mare nostrum. Si notano testimonianze afferenti all’allevamento e alla pesca del tonno, tradizione documentata già in età angioina e aragonese ma per la verità portata avanti fin dall’Antichità (ce ne dànno contezza i mosaici pavimentali di Sant’Aloe e Punta Scrugli, opere che segnalano la fervente prosperità delle attività compiute presso il porto). La ricchezza delle risorse marine rappresentava un indotto notevole e rimpinguava un’industria ottimamente configurata.


La Tonnara di Bivona e la sua campana

Un capitolo a parte, fra le vetrine, spetta alla Tonnara di Bivona, oggi manufatto espressione dell’archeologia industriale sottoposto a vincolo per conto del Ministero. Furono i Pignatelli, duchi di Monteleone, a volerne la realizzazione, e fu completata a fine Ottocento. Al suo interno era ubicata una cappella dedicata al portoghese Sant’Antonio di Padova, patrono quasi onnipresente delle tonnare siciliane, che accoglieva la comunità di fedeli con una campana fusa dalle Fonderie Scalamandré di Monteleone. Datata al 1884, rimangono pochi giorni per ammirarla.















Tutte le fotografie sono state scattate da Lorenzo Franzé.

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