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domenica 4 ottobre 2020

Sono tornati: troll russi, ma a stelle e strisce






Ve lo confesso, mi mancavano. Questa storia dei troll russi non la sentivo da un po’, ma l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali non ha che riesumato una vecchia favola ansiosa di riscontri reali.

Nonostante da anni si continui a parlare di troll russi nelle campagne mediatiche occidentali, mai alcuna prova è stata portata avanti a supporto di tale teoria. L’idea di un grande complotto ordito dai servizi segreti russi ai danni di tutto il mondo, oltre a non avere alcun senso e a non conformarsi alla tradizionale politica di non ingerenza, consegna ai nostri tempi una versione aggiornata della millenaria russofobia. Ed è anche una questione tecnologica: pur prendendo le accuse di fake news come vere, l’impatto che queste possono avere è di gran lunga meno importante rispetto all’interferenza silenziosa delle compagnie di big tech, le quali dispongono di potenze di calcolo decisamente maggiori rispetto alle possibilità presenti in Russia. Lo ha evidenziato lo psicologo e studioso dei media Robert Epstein, figura di spicco dell’American Institute for Behavioral Research and Technology, il quale ha mostrato in anni di ricerche come, almeno dal 2016, enti privati del calibro di Google e Facebook abbiano indirizzato i propri contenuti in favore di una precisa parte politica, la cosiddetta ala democratica. I dati raccolti e pubblicati, naturalmente, non riguardano l’intenzionalità o meno della tendenza posta sotto pubblico dominio, ma si limitano a mettere in luce la situazione al di là delle possibili cause. Sulla base delle analisi quantitative condotte, è emerso che: in occasione delle elezioni presidenziali del 2016, potenzialmente almeno 2,6 milioni di voti, provenienti da un elettorato indeciso, sono stati portati in sostegno di Hillary Clinton; durante le elezioni di medio termine del 2018, Google ha manipolato l’invito a votare; nelle settimane precedenti, potenzialmente più di 78 milioni di voti sono stati spostati da distorsioni nei risultati di ricerca su Google; il completamento automatico di Google può fortemente plagiare un elettorato indeciso; si può calcolare un’influenza di Google su elezioni in tutto il mondo di oltre il 25% almeno dal 2015. Sulla base di tali dati quantitativi, innegabili, sono state proposte le proiezioni riguardo lo spostamento di voti e il condizionamento individuale. A ciò vanno inoltre aggiunte due questioni in merito a Google: la sorveglianza e il silenziamento. Non solo, poiché la vicinanza tra la Clinton e Google è confermata dalle e-mail desecretate. E il 23 settembre leggevamo su Wired “Ai troll russi ora basta ripetere ciò che dice Trump”, a firma di Albachiara Re, non nuova a queste notizie!

Come non ricordare, poi, il caso dei bot russi creati proprio in America? O la grande montatura del Russiagate? Le proverbiali fake news di Trump e i fantomatici attacchi hacker di Putin ci distraggono piuttosto dai temi più urgenti per la democrazia: possono entità private condizionare la vita pubblica?



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