Prendo il giornale e leggo di nuovi focolai in arrivo,
accendo il televisore e sento di nuove pandemie prossime venture… Prima di
gennaio credevamo che le arti cartomantiche non trovassero accoglienza nella
società odierna, ma l’infodemia generalizzata ha agito con prontezza per
smentirci.
Una delle fallacie più utilizzate di recente per amplificare il verbo
dell’emergenza non conclusa è stata quella dell’ “ipse dixit”,
eppure interessante sarebbe verificare se l’autorità interpellata corrisponda
alla presentazione che ne viene effettuata. Il 2 luglio leggevamo su Il Messaggero “Coronavirus, il virologo che scoprì Ebola: - La pandemia è
appena cominciata - ”, anticipando una intervista al belga Peter Piot. Virologo?
Già il titolo mi inizia a puzzare, dopo mesi e mesi di improvvisi exploit
di persone così identificate, non sempre a ragione. Fino al 2019, solo alcuni articoli giornalistici lo denominavano in questo modo,
mentre il suo curriculum vitae parla più specificamente di “microbiologo”, e le due cose
non sono equivalenti - la microbiologia
studia i vari microrganismi, invece la virologia solo i virus
- . Ma è il merito che gli si assegna il problema principale: si tratterebbe
infatti dello scopritore di Ebola. Forse l’articolista non era a
conoscenza di una delle interviste dallo stesso Piot rilasciate, in cui candidamente afferma di non
essere affatto l’unico scopritore del virus; eppure la storia è più
complicata di così. I primi 4 articoli scientifici a parlarne uscirono sul The Lancet del 12 marzo 1977, in uno dei quali Piot figura tra gli autori - non tra quelli tradizionalmente più
importanti, ovvero il primo e l’ultimo citato - . Come è possibile leggere
nella sua autobiografia,
Piot fu coinvolto nei lavori iniziali che portarono alla successiva
identificazione di un nuovo virus e nelle indagini sul primo focolaio
riconosciuto, e dovette lottare per veder figurare anche il proprio nome.
Grazie al team di cui era parte, il microbo venne per la prima volta
isolato, ma fu un’altra squadra a comprendere che doveva trattarsi di qualcosa
di nuovo: nel loro articolo proposero il nome di Ebola. L’intera vicenda così ricostruita è pacificamente accettata dai suoi protagonisti.
E siamo ancora al titolo. Anche se nel cappello iniziale del testo si
smorzano i toni sbandierati nel titolo, l’imprinting iniziale è quello
che conta e fornisce la chiave di lettura per il seguito. Che dire allora delle
omissioni riguardo possibili conflitti di interessi dello scienziato? E’
ad esempio amico di Bill Gates, senza rivali presso l’Oms, e membro
della Novartis.
Se possiamo fidarci dell’allarme lanciato da Peter Piot, solo il tempo ce lo
dirà con certezza.
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