giovedì 30 ottobre 2025

Reportage di Sabrina Sirbu

I prati di Kore

Il 30 aprile abbiamo avuto l’onore e il piacere di visitare, guidati dalla professoressa Preta, la mostra “I prati di Kore" al Museo Archeologico V. Capialbi di Vibo Valentia.
Il castello, detto impropriamente normanno, ma più storicamente svevo, è simbolo incontrastato di Vibo. Verso la metà del XIII secolo gli Svevi arrivano dal freddo nord e si insediano nel sud Italia, la vecchia Magna Grecia che fu poi detta Calabria. Ruggero II eresse a Vibona una semplice torre che si protende verso i resti di un santuario dedicato a Demetra e Kore. Ma poi trasporta la cattedra episcopale a Mileto, che è sua capitale. Nonostante il castello sia intitolato a lui, Monteleone non è grata a Ruggero Conte d’Altavilla, e nelle leggende è destinato per un incantesimo infinito a rimanere sepolto in uno dei cunicoli del castello, divenuto la sua prigione eterna!
Abbiamo assistito poi alla lettura di una favola popolare scritta dalla prof. in dialetto calabrese, in forma di ballata, dedicata all’eroina Diana Recco, che si impegnerà nella vita per vendicarsi dell’uccisione del padre e del fratello, due dei Sette Martiri di Monteleone. Poi sarà anche damigella alla corte ducale dei Pignatelli, e tutti si innamoreranno di lei, ma si mantiene casta e pura, perché solo così la sua vendetta avrà senso.
I Prati di Kore sono un luogo ricco di significato nella mitologia, associato a Demetra, dea dei raccolti, e a sua figlia Persefone (Kore, in greco significa "ragazza" o "figlia"). Questi prati sono menzionati nei miti che riguardano la perdita e il ritrovamento di Persefone, la cui storia spiega il ciclo delle stagioni.
Mentre Persefone raccoglieva fiori, il dio degli Inferi, Ade, la rapì per farla sua sposa. Demetra, afflitta dalla scomparsa della figlia, rifiutò di far crescere i raccolti sulla terra, portando così carestia e disperazione agli dei e agli umani. Zeus intervenne per risolvere la situazione, determinando che Persefone trascorresse parte dell'anno con Ade negli Inferi e il resto con sua madre sulla terra. Questo mito spiega il ciclo delle stagioni: quando Persefone è con Demetra, la terra fiorisce (primavera e estate), mentre quando è con Ade, la terra diventa fredda e sterile (autunno e inverno).
“I Prati di Kore” sono dunque il luogo in cui tutto ha avuto inizio, dove la vita di Persefone è stata interrotta dal rapimento di Ade e dove Demetra ha iniziato la sua ricerca disperata. Si tratta di una mitopoiesi, che rappresenta simbolicamente la connessione tra dei e natura.
Demetra è associata alla fertilità della terra e al ciclo agricolo, mentre Persefone simboleggia la trasformazione e il rinnovamento attraverso la sua permanenza nel mondo sotterraneo e il suo ritorno sulla terra. Complesse furono le relazioni divine e umane nell'antica Grecia, in cui gli dei non erano solo figure distanti, ma esseri con cui gli umani interagivano attraverso rituali, sacrifici e pratiche religiose.
Durante la visita della mostra, abbiamo ascoltato una spiegazione accurata su Pàndina, misteriosa dea di Hipponion. Una dea in fondo né greca, né romana.
Il suo nome è un hapax legomenon (in greco “detto una sola volta”) che trova confronto solamente sulle monete della vicina città di Terina (Lametia): Pandina Eiponieon, “Pandina degli Ipponiati”, così viene definita la divinità raffigurata sulle monete in bronzo che la polis di Hipponion, governata dall’élite guerriera del popolo italico dei Bretti, emette tra la fine dei IV e gli inizi del III secolo a.C.
La dea è vestita con lunga tunica panneggiata (chiton) al di sopra della quale indossa una corta veste, stretta in vita da una cintura che fa aderire il tessuto al corpo. Sui capelli raccolti sta una corona: il diadema. Gli attributi propri da dea ne accrescono l’aura sacra, ma è difficile da definire rispetto a quanto noi sappiamo del Pantheon greco.
Un sottile scettro cornuto nella mano sinistra, sormontato da un globo o da una fiamma, è simbolo di una potenza dominante; la tracolla di una faretra, poi la fibbia a crescente lunare e la stessa fiamma rimandano alla sfera di divinità del “mondo liminare” ovvero che trasporta all’aldilà, come Artemide, e del regno ctonio come Ecate.
Il caduceo è indice di una divinità messaggera, accompagnatrice delle anime dei defunti, al pari di Hermes psicopompo. Infine vi è la frusta, il flagellum, proprio di una dea terrificante, vendicativa, temuta più che venerata, ma al contempo immagine di culti misterici e propiziatrice di fecondità.
Forse Pandina fu una dea della fertilità agraria assimilabile a Demetra (e alla latina Panda); forse una terrificante Ecate; forse la stessa Kore-Persefone nella sua foggia (epiclesi) di accompagnatrice delle anime dei morti.
Di certo Pandina è una divinità ancestrale, tutta ipponiate, che aspetta ancora di rivelarsi nelle sue prerogative.
Non finirò mai di ringraziare la professoressa Preta per avermi guidata in quest’immersione totale nel mondo della donna terrestre e divina, ovvero la mostra “Prati di Kore”!

Nessun commento:

Posta un commento