Aula magna piena per rendere omaggio ai guerrieri in bronzo più iconici della Magna Grecia

Daniele Castrizio e Maria Concetta Preta
Dapprima caccia al tesoro, poi caccia all’uomo, infine caccia al mistero. Quella dei Bronzi di Riace sembra essere una storia da giallo novecentesco, e in parte certamente lo è. Protagonisti per un’ora di lectio al Liceo Classico “Michele Morelli” di Vibo Valentia, in occasione della Notte Nazionale del Liceo Classico, hanno portato docenti e studenti a sfiorare le vette dell’archeologia magnogreca con due pezzi di artigianato senza rivali. Conduttore del viaggio, l’esperto in materia Daniele Castrizio.
La Notte Nazionale del Liceo Classico a Vibo Valentia
Mentre altri 400 licei italiani e stranieri festeggiavano l’evento più atteso dell’anno, con performance che spaziano dall’arte al teatro sino all’enogastronomia, l’aula magna intitolata a Carlo Diano declinava il tema “Mediterraneo/Mediterranei: mare in mezzo alle terre, terre in mezzo al mare” disquisendo della scoperta mediterranea del secolo. Daniele Castrizio, numismatico e docente all’Università di Messina, ha guidato il pubblico ne “La notte dell’archeologia: i guerrieri venuti dallo Ionio” con un intervento fra i più seguiti.
Se non fosse stato per un subacqueo capitato da quelle parti per caso, oggi non staremmo a parlarne. Stava risalendo in superficie dopo un’immersione quando, con il fiato sospeso, notò affiorare dalla sabbia in profondità… Una mano! Troppa la curiosità per far finta di nulla, scese di nuovo verso il fondale e capì trattarsi di una statua in bronzo, completa per di più. E non era sola, perché accanto giaceva da tempo immemore qualcuno a farle da compagnia. Era il 16 luglio 1972 e una mareggiata aveva smosso le acque, fortuitamente, nei giorni precedenti. Stefano Mariottini, chimico romano con la passione per lo scuba diving, prima di partire in vacanza per la Calabria non poteva immaginare che avrebbe presto ricevuto in dono dallo Stato un malloppone da 125 milioni di lire, per riconoscenza. Da subito si mise in moto la macchina del fango, con accuse e dicerie che lo volevano un truffatore e un criminale.
L’Odissea dei Bronzi in Italia
Immediatamente i manufatti furono traslocati al museo reggino per i dovuti interventi restaurativi; ma quei laboratori, calabresi fino all’osso, non erano abbastanza all’avanguardia, non quanto i colleghi del Centro-Nord. La spedizione a Firenze fu inevitabile, con la promessa strappata di un pronto rimpatrio a opera conclusa. Nel frattempo, a Taranto, un convegno di studi stabilì all’unanimità la fattura greca dei capolavori, pur non scartando totalmente la possibilità di una realizzazione similgreca risalente al Rinascimento.
Cinque anni durarono le scrupolose operazioni fiorentine, con l’ausilio di tecniche per l’epoca avveniristiche; e arriva la prova del nove: studiando le terre usate per la fusione, il risultato tecnico-scientifico assicura sulla fusione avvenuta in Grecia. Il ritorno a casa fu irto di complicanze, dal soprintendente che temeva danni durante lo spostamento al presidente Pertini che volle esporli al Quirinale per quasi due settimane; successo garantito, 200 mila visite per i guerrieri partoriti dal mare.
Il fascino per l’archeologia
A quel punto fu chiaro che anche in Italia l’archeologia poteva stimolare l’interesse delle e dei cittadini, al pari di qualsiasi altro intrattenimento diportistico. Lo sa bene la classe 2^ A, coordinata dalle professoresse Stella Cosentini e Maria Concetta Preta, che davanti alla platea ha interpretato un testo da quest’ultima scritto. «Qualcuno si fece persino prendere dalla Sindrome di Stendhal», ha chiosato Castrizio. 500 mila persone accorse nella capitale fiorentina da tutto il mondo per ammirare qualcosa di estraneo, esotico, tutto fuorché “mediceo”. Storceva il naso, però anche allora l’élite culturale conservatrice fu vinta da chi non ha perso il contatto con lo stupore.
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