Cristiana Buccarelli è tornata a Vibo Valentia per presentare il nuovo libro, un'autobiografia che attraversa 50 anni di Storia mondiale

“Detesto i palcoscenici! Molto meglio per me stare nella terra”. Cristiana Buccarelli, autrice prolifica di opere narrative, non poteva di sicuro aspirare a location più adatta della nostrana fattoria didattica e sociale.
Giovedì 25 luglio la sede dell’azienda agricola Junceum, nell’àmbito de ‘La fattoria delle idee’, ha ospitato la scrittrice in compagnia di Menella Potenza – già direttrice della Biblioteca comunale – e di Dario Costa – attore di teatro, cinema e televisione – , grazie all’invito dell’operatrice culturale Maria Teresa Marzano.
Consuetudine delle presenti serate è aprire le danze o sigillare gli eventi con l’iniziativa ‘Alberi parlanti’: si dedica la giornata a una persona altamente significativa per la vita della tenuta e dell’associazione di volontariato La Goccia.
Stavolta è toccato a Emi, una donna marocchina così chiamata affettuosamente in fattoria, da quattro mesi costretta a girovagare in lungo e in largo per rari problemi di salute; era giunta da queste parti quando ormai aveva perduto ogni speranza, e in collegamento telefonico non ha fatto altro che ringraziare ripetutamente per la sorpresa a lei riservata.
A parlare era l’arbusto della vite, simbolo dell’esistenza umana in Oriente, con la voce prestata dall’amica Tiziana.
La palla è passata così a Menella, che con garbo signorile ha introdotto la protagonista, esperta di Storia del diritto romano e vincitrice di numerosi premi e riconoscimenti, nonché conduttrice di laboratori di scrittura.
Al centro della sua autobiografia ‘Un tempo di mezzo secolo’, il tempo. Sin da bambina se ne interroga non riuscendo ad afferrarne l’essenza.
Si traduce in memoria personale quando è l’individuo a padroneggiare il proprio vissuto, ma esplicandosi in memoria emotiva nulla può sfuggirgli: il ricordo delle emozioni provate ci segna con un carattere indelebile, che noi se ne abbia o meno coscienza.
In copertina, descrittivamente, compare l’appellativo di “romanzo”, e tuttavia non lo è del tutto.
È il racconto di una testimone oculare, veritiero senza finzioni; una narrazione di formazione, catartica pure per chi l’ha stesa su carta.
In questo senso allora sì, è un romanzo perché si avvicina all’aspetto di un romanzo circolare, che dalle primissime esperienze infantili di lettura la porta a una ben maggiore consapevolezza dello strano mondo attuale.
Lègge con un certo accanimento dall’età di undici anni, quasi un’attitudine innata ai libri. E mica volumetti per l’infanzia! Tutt’altro, i grandi classici intramontabili della letteratura mondiale, nonostante lei stessa non abbia pubblicato nulla fino al quarantunesimo compleanno.
Nel libro si traccia in tal modo un vero percorso letterario, con sullo sfondo le sue due Itache, città dell’eterno ritorno: Vibo Valentia, luogo natio, e Napoli, sogno campano scelto per abitarvi. Quando si trova qua, pensa a là; e viceversa, in una aporica nostalgia.
Con mezzo secolo sulle spalle, quanto ha visto cambiare “Il giardino sul mare”… Dai tempi d’oro al deserto odierno, non si è comunque mai affievolita né spenta la sua sete di amore vibonese; qualcosa di immutabile ci appartiene.
A intervallare i momenti dialogici, alcuni brani tratti dal testo e interpretati ad alta voce da Dario con un sapiente fare espressivo, ripercorrendo le tappe maggiormente significative di una vicenda personale e comunitaria.
Come quella svolta vissuta dal 2000 in poi, quando sembrava che tutto dovesse migliorare e invece nulla di buono iniziò a prospettarsi all’orizzonte. Oggi non si può che confermarlo.
Scrivere salva, salva dalle brutture irriformabili della società, non con la pretesa di scalfirla bensì con la presunzione di evaderne. La sua generazione, novecentesca, qualche marcia in più ce l’ha.
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