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domenica 23 agosto 2020

Mascherine e ossigeno: il falso mistero






Fino a prima che scoppiasse il caso mediatico della diffusione globale del nuovo ceppo di coronavirus, era abbastanza raro trovare nei comuni sistemi di informazione notizie e approfondimenti dal mondo scientifico. Nell’ultimo periodo la tendenza sembra essersi invertita, se dovessi però scegliere tra poca ma buona, e tanta ma pessima divulgazione, credo che la preferenza ricadrebbe sulla prima possibilità.

Molte testate e persone si sono dovute reinventare per l’occasione. L’edizione italiana di un sito statunitense dedicato a
economia e politica, Business Insider Italia, titolava il 10 agosto: “Un medico corre 35 km con una mascherina anti Covid per sfatare una convinzione sbagliata sui livelli di ossigeno”. La notizia dell’impresa compiuta dal dottor Tom Lawton - impegnato nel campo dell’anestesia e della rianimazione, con un particolare interesse per l’informatica - , finanziata dal basso e raccontata in presa diretta da egli stesso su Twitter, meritava certamente una sua diffusione al grande pubblico, parimenti ad altre sperimentazioni similari con risultati opposti. Il problema condiviso da questi test è tuttavia uno: non avvenendo in una situazione controllata e non seguendo un protocollo approvato a monte e descritto nel dettaglio, per consentire la ripetizione della prova da persone terze sulla base di uno studio regolarmente referato e pubblicato, non possono ambire a un loro pieno riconoscimento di validità scientifica. Ecco dunque emergere l’imprescindibile e disattesa necessità, da parte dell’articolista, di contestualizzare correttamente la notizia all’interno delle attuali conoscenze mediche. Malgrado si parli di “convinzione sbagliata sui livelli di ossigeno”, è già nutrita la bibliografia che evidenzia la possibilità di una riduzione dell’ossigeno disponibile e di un’alterazione dell’aria inspirata soprattutto durante lo svolgimento di un’attività fisica. Ciò non vuol dire che le condizioni appena descritte debbano sempre verificarsi, poiché sono da tenere in considerazione varianti quali il tipo di mascherina, la persona che la indossa, le azioni eseguite, l’ambiente circostante… Allo stesso modo, gli esperimenti che giungono a conclusioni diverse sono validi per gli individui e lo scenario analizzati, ma non sono estendibili in generale a tutta la popolazione e a tutte le situazioni possibili. Del resto, gli effetti collaterali che possono derivare da uno scorretto utilizzo di tali dispositivi sono già conosciuti, e riconosciuti anche da chi è più incline a ritenere maggiormente rilevanti i benefici, in una immaginaria pesatura dei pro e dei contro.

Tom Lawton ha fatto vedere come le misurazioni effettuate dal proprio strumento sull’aria trattenuta dalla propria mascherina rientrassero nei parametri definiti sicuri. Ma trasformare questo dato in un consiglio comportamentale indiscriminato può rivelarsi un pericolo per la salute.


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