martedì 11 marzo 2025

Violento giornalismo d’assalto nel libro della vibonese Titti Preta: la denuncia che tocca tutti

“La signora del pavone blu” condanna, senza peli sulla lingua, un costume dei nostri tempi

Un omicidio, la notte, silenzio. A squarciare il velo dell’oblio, a sfumare la coltre di omertà popolana penserà il quarto potere; quarto in termini cronologici, “cane da guardia” degli altri tre, ma secondo a nessuno quanto a capacità impattante sulla società. Quel che non poté il comun dire, lo può la stampa. Eleva chi le fa comodo in anni di chirurgica comunicazione mediatica, all’evenienza pronta a un suo abbattimento in un solo giorno. Edifica coscienze, distrugge innocenti.


L’incontro all’Archivio di Stato

E non guarda in faccia il genere di appartenenza, nemmeno il gentil sesso ipocritamente decantato sui media. Alle donne è rivolto “La signora del pavone blu” di Maria Concetta Preta, presentato alla vigilia della giornata internazionale loro dedicata presso l’Archivio di Stato di Vibo Valentia, con il patrocinio del Ministero della Cultura. Venerdì 7 marzo l’autrice è stata introdotta dalla direttrice Rosada Pezzo, che ha proposto un excursus giuridico sulla figura femminile nella Storia, e ha dialogato con la docente Federica Geraci, lettrice incallita delle sue opere. L’artista Tonio Fortebraccio ha coronato la sala conferenze con le proprie tele a tema, alla presenza di studenti del Liceo Classico “Michele Morelli”.


Il romanzo è noir per le atmosfere, giallo per il mistero, psicologico per la caratterizzazione, sociale per l’ambientazione. Un pastiche composito dalle dotte evocazioni letterarie, intriso di profumi confusi che si sprigionano dalle strade di una città periferica: non è mica detto che i ceti umili non possano aspirare alla letteratura alta, pur in un contesto di citazioni che in taluni sanno captare. Manie e riti di un paesone asfissiante in un anno di piombo, il 1977, antropologicamente ricostruiti con dovizia di particolari.


Il giornalismo, un protagonista nascosto

Al di là dei personaggi che teatralmente si affollano sulla scena, tanto da esserne stato ipotizzato un adattamento drammatico, forse il protagonista più subdolo è invero il giornalismo. O meglio, la sua becera degenerazione disinformativa in “giornalaismo”. Come boomerang che va e viene comparendo e scomparendo dalle pagine, il mestiere presidio di democrazia è offerto in un quadro demoralizzante. Scelta non della scrittrice, autenticamente calata nella rozza e volgare vita che si perpetua giorno dopo giorno attorno all’enigmatica boutique. Convinta di far meglio delle forze dell’ordine, la stampa non perderà tempo per impossessarsi del caso, avida di righe per riempire i fogli di quotidiani inutili dall’indomani, carta buona soltanto ad asciugare i vetri delle finestre. Assistere allo sciacallaggio dei giornalisti, disdicevoli quando proni al mercimonio delle vendite, farà empatizzare chi legge perfino con i sospettati numeri uno, degni comunque di rispetto umano.

Sui quotidiani compariranno notizie inventate, esagerazioni volute, attacchi gratuiti agli inquirenti, e ciascuno si lancerà in teorie migliori delle altre. Cronisti la mattina, il pomeriggio, la sera e la notte, telecamere e registratori puntati sotto casa a ogni ora del dì contro i testimoni del fattaccio e gli indagati dalla polizia. “Tutto fa brodo se si tratta di vendere” si chiosa nel testo, un processo autunnale celebrato senza competenza, all’ultimo grido, in tutte le edicole.



La città misteriosa, teatro dell’omicidio

La lordura dei pennivendoli prezzolati inquina la nostra mente e intelligenza. Un problema universale, ma ben localizzato nel libro. Sorprenderà il finale a sorpresa dipinto d’amore, ma il vero coup de theatre sarà scoprire man mano l’identità della città. Lì dove c’era una volta, sul serio, la bottega “Il pavone blu”

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