martedì 10 settembre 2024

Raffaele Fazio, testimone di giustizia: - La mafia in Vaticano, Bergoglio non è il papa -

Per la prima volta, dopo anni di lotte, racconta alla stampa in un'intervista le sue denunce sull'attuale situazione della Chiesa cattolica


Durante l’incontro di venerdì 30 agosto a Vibo Marina per ‘Ti porto un libro: incontri con l’autore’, la vittima di ‘ndrangheta Raffaele Fazio non si è trattenuta dal lanciare alcune frecciate rivolte a istituzioni laiche e religiose colpevoli di averle voltato le spalle nel momento del bisogno. E un paio di volte ha citato note espressioni, dal mieloso sapore, ripetutamente proclamate da quello comunemente conosciuto come “papa Francesco”. In esclusiva per noi, Raffaele racconta la propria esperienza con la Chiesa e le proprie posizioni sulla sua attuale situazione, da lui periodicamente sviscerate sui social con appositi video di approfondimento.

Signor Fazio, come si è svolta la sua iniziazione cristiana da fanciullo?

<Vengo da una famiglia cristiana praticante. Da bambino facevo il chierichetto in parrocchia, erano gli anni Sessanta. Il catechismo era preso molto sul serio all’epoca, alla fine ciascuno di noi era ben preparato nella conoscenza della dottrina cattolica.>

E dopo, come ha coltivato attivamente la fede?

<Non ero ancora maggiorenne, cioè non ero neppure ventunenne, quando a Serrastretta entrai nel movimento Comunione e Liberazione, nelle cui fila ho militato per circa quindici anni. A esso dobbiamo davvero tanto per aver affrontato a viso scoperto il problema sociale: una fede non slegata dalle opere, ma che da questione privatistica si traduce nella risposta ai bisogni del prossimo. È la carità che ci ha comandato Gesù Cristo, pur salvaguardando come fonti essenziali lo spirito di preghiera, esercitata con ritmi sostenuti, e l’accostamento ai sacramenti, ricevuti con regolarità. In ultima istanza, proprio grazie al fondatore monsignor Luigi Giussani ho fatto la conoscenza di Gesù.>

Qual era il vostro rapporto con papa Giovanni Paolo II?

<In quegli anni vi fu una sua visita pastorale a Lamezia Terme e venne a trovare noi di Comunione e Liberazione. Era ancora in piena salute, più che carismatico, tanto che avendocelo davanti sembrava persino di trovarsi di fronte a Dio in persona! E poi io, essendo il braccio destro del parroco, potei avvicinarlo particolarmente. L’obbedienza al papa era per noi garanzia di unità, e non poteva essere altrimenti essendo noi cattolici. Chi non è in comunione con il papa regnante è automaticamente scomunicato dalla Chiesa. Ma ricordo con lo stesso piacere i suoi predecessori. Mi viene in mente Paolo VI che, addoloratissimo per la brutta fine di Aldo Moro, commentò esclamando: - Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro [...]; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale - .>

Qualcosa iniziò a cambiare negli anni Ottanta, non è vero?

<L’intuizione epocale che diede vita a Comunione e Liberazione fu tradita. Già dagli anni Ottanta si intravedeva un brutto andazzo, il messaggio evangelico ormai non veniva più rispettato, era diventato un optional. Quasi tutto sul sociale e ben poco sulla fede: un abominio, perché teologicamente è la fede che salva e solo da essa possono scaturire le buone azioni. Io mi lamentavo nella mia realtà locale, tuttavia non ero preso sul serio, non mi ascoltavano. A maggior ragione da quando addirittura si immischiarono nel mondo in termini politici. Misero in giro alcune calunnie per sbarazzarsi di me, sempre più scomodo, e furono capaci di sottrarmi la cooperativa di artigianato che nel frattempo avevo messo su, raccogliendo gli artigiani di Serrastretta. Negli anni Novanta ero a Torino e vivevo la mia fede soltanto a livello parrocchiale; quello fu inoltre il periodo del mio inatteso e destabilizzante incontro con la criminalità organizzata calabrese. Nella testa mi ripetevo, parafrasandole, le parole di Paolo VI - “perché non hai esaudito la mia supplica?” - . A monsignor Luigi Giussani rimprovero l’assenza di coraggio nell’allontanare chi intralciava il carisma originario; non ne ebbe le forze ed era peraltro lasciato solo nella sofferenza per ciò che era costretto a vedere.>

Nel 2005 salì al soglio pontificio papa Benedetto XVI, che ricordo ne ha?

<Sapevo che sarebbe divenuto lui il romano pontefice in quel conclave. Mi sembrava scontato: il pontificato del suo predecessore lo aveva sostenuto, quasi da vicario ufficiale, proprio lui sin da principio. I cardinali non potevano che riconoscere le sue capacità, premiandolo con l’elezione. Un regno caratterizzato da violenti attacchi, e io l’ho sempre difeso, perché era al contempo un uomo dalla vasta umiltà e dalla cultura impareggiabile. Ho imparato ad amarlo quando decise di porre al centro della Giornata Mondiale della Gioventù 2005, a Colonia, il Santissimo Sacramento: una scelta giusta e doverosa, la cosa più straordinaria che si potesse immaginare. Per questo, una volta appreso della Declaratio nel 2013, non ero in grado di darmi una spiegazione. Egli sosteneva che non si dovesse scendere dalla croce, concetto vissuto in prima persona indugiando al fianco di Giovanni Paolo II nei tempi della sua malattia. Per di più per la situazione interna al Vaticano, con la Massoneria ecclesiastica fiorente come mai prima, non poteva certo dare campo libero ai nemici per farli impossessare della cattedra di Pietro. Dalla sua bocca erano uscite le parole che rivelavano come non avesse potere se non al di dentro della sua stanza... Rinunciare non avrebbe avuto alcun senso.>

Undici anni fa a tutto il mondo sembrò di assistere all’elezione di un nuovo romano pontefice: il cardinale Jorge Mario Bergoglio nascondeva un inganno?

<Le studiose e gli studiosi lo capirono con qualche anno di ritardo. Io stesso riponevo di primo acchito speranze in lui, perché il popolo lo riteneva papa alla stessa maniera di chi lo aveva preceduto vestito di bianco. Certo, strideva oltremodo quel “buonasera” pronunciato in Piazza San Pietro, ma non è dato a noi giudicare chi riveste la più alta giurisdizione. Poi quel nome, Francesco, riportava alla mente della povera gente ignara la figura del santo di Assisi, dedito alla povertà e alla fraternità in nome del Vangelo. Tutt’altro rispetto alla mole di denaro senza precedenti che Bergoglio ha investito nella creazione di nuovi cardinali - invalidi - e nell’acquisto di nuovi paramenti liturgici, con quelli che già numerosi erano in uso dai papi validamente eletti. La discontinuità con il passato fu evidente sin dall’enciclica ‘Laudato si’’ del 2015, in quanto l’accento posto su Madre Terra è estraneo al cattolicesimo: la natura, secondo il dato rivelato, è data a noi in gestione, ma il suo proprietario è Dio e al suo creatore è chiamata a rispondere, di conseguenza noi non abbiamo nulla da salvare, dobbiamo farci santi e aiutare gli altri insieme con noi a salvarsi l’anima! La terra è figlia, come lo siamo noi; nostra madre è semmai la Madonna, Madre di Dio. Subito dopo fu la volta dell’esortazione apostolica post-sinodale ‘Amoris laetitia’, che con alcune lettere allegate agli Acta Apostolicae Sedis autorizzava la consegna del Santissimo a persone che versano oggettivamente in stato di peccato mortale, secondo dottrina. O erano false le parole di Gesù Cristo e della sua Chiesa, mai smentite però nemmeno lontanamente da alcun sommo pontefice, oppure era lapalissiano che qualcosa seriamente non stava andando. Tertium non datur, è pura logica, e chi predica dottrine diverse da quella del Magistero è anatemizzato, il che equivale a dire “maledetto da Dio”. Così, nel periodo del presunto Giubileo della Misericordia - eretico poiché Dio non perdona in ogni caso chiunque, Dio è innanzitutto giustizia perfetta - , salutai definitivamente la Chiesa antipapale fondata dai cardinali con la convocazione del conclave giuridicamente esterno alla Chiesa cattolica. La questione, oggi avallata e chiarita da tutte e tutti gli intellettuali senza conflitti di interessi che l’hanno studiata, è semplice: Ratzinger non ha fatto altro che mettere in campo il meccanismo giuridico da lui posto in essere nel Diritto canonico del 1983, consegnandosi liberamente alla sede impedita con la Declaratio - nella sua versione originale, in latino, malamente tradotta dalla Santa Sede nelle lingue moderne per simulare un’abdicazione, mai avvenuta in alcun documento ufficiale - , un atto giuridicamente inesistente ma pastoralmente significativo. Non avendo consegnato l’ufficio petrino, come previsto dalla legge, Benedetto non ha rinunciato al papato e ha continuato a essere l’unico papa sino alla sua dipartita; le sue dichiarazioni in quei lunghi nove anni di impedimento legale lo hanno sempre sottolineato, non c’erano affatto due papi e non potrebbero mai esservi. Papa Francesco, beniamino del gruppo segreto di cardinali autodenominatosi Mafia di San Gallo - la cui esistenza e attività è stata dimostrata storicamente e autenticata dagli stessi protagonisti dei fatti - e perciostesso ineleggibile in un conclave cattolico - secondo quanto stabilisce la legge - , è il primo patriarca di questa nuova Chiesa scismatasi da Roma, antipapa rispetto a quella cattolica alla medesima maniera di papa Pietro III, attuale patriarca della Chiesa palmariana: sono papi delle loro rispettive Chiese, ma non hanno il titolo di romani pontefici perché non eletti in un conclave riconosciuto dalla Chiesa cattolica. È già accaduta nella Storia l’usurpazione in Vaticano del trono petrino, l’importante per un cattolico è avere chiaro che chi partecipa a celebrazioni e sacramenti in unione con un antipapa è automaticamente fuori dalla Chiesa. Non parliamo poi della processione nei Giardini Vaticani e intronizzazione nella Basilica di San Pietro dell’idolo pagano Pachamama, la Madre Terra, nel 2019; un atto che non sta né in cielo né in terra, è apostasia dalla fede. Il primo sacerdote ad aver proclamato pubblicamente la verità, don Alessandro Maria Minutella, teologo con due dottorati che ha ottenuto il rarissimo favore di pubblicazione integrale della tesi alla Pontificia Università Gregoriana, è oggi riconosciuto come guida dal popolo cattolico mondiale, appoggiato dal primo giornalista d’inchiesta che ha riunito insieme esperte ed esperti delle varie discipline per ricostruire dall’inizio alla fine la totalità della situazione, Andrea Cionci, nominato Cavaliere al merito della Repubblica italiana per l’impegno profuso nella promozione della cultura e depositario quest’estate di un’istanza legale presso il tribunale vaticano non rigettata da questo nei termini temporali stabiliti per legge, con la firma di avvocati e canonisti che denunciano finalmente l’illegittimità del vescovo Jorge Mario Bergoglio. Sulla scia dei papi postconciliari e dei loro avvertimenti sui tempi imminenti, si usa la categoria biblica veterotestamentaria e neotestamentaria di “piccolo resto” per significare noi rimaste e rimasti cattolici, fuoriusciti dalla realtà bergogliana.>

Lei dunque fa parte del gruppo del “piccolo resto”, ma in ogni caso quale futuro vede per la Chiesa cattolica?

<No, assolutamente, io non faccio parte e non mi riconosco in alcun gruppo! Quello del “piccolo resto” è da vedersi come uno strumento per proseguire ad abbracciare il cattolicesimo in questi tempi, similmente ad altri momenti già superati - l’arianesimo, la Rivoluzione francese, le persecuzioni in Giappone... - ; epperò io sono semplicemente rimasto nella Chiesa cattolica, tutto qui, e mi rifaccio agli ecclesiastici rimasti anch’essi fedeli ai pontefici, l’unica cosa che conta. Nulla di più e nulla di meno. Io sono di Cristo! Inoltre chi è cattolico come me crede nel perenne intervento divino nella Storia umana. Prevedo che l’odierna Chiesa antipapale, una delle decine e decine esistite in due millenni, proseguirà ancora per un po’ con almeno un successore di Bergoglio. A meno che quest’ultimo non confessi pubblicamente il reato e si consegni volontariamente all’espiazione della pena prevista dal Codice di diritto canonico per usurpazione di una carica ecclesiastica, ma mi sembra uno scenario difficile considerando il soggetto e le sue vicende passate. Se anche proviamo stanchezza, non cediamo allo sconforto e coltiviamo la forza di resistenza, Dio non abbandona mai la Chiesa cattolica, ora in estrema minoranza ma pronta ad accogliere il futuro romano pontefice che porrà fine alla sede vacante in cui si sta trovando. Signore, quanto ancora dobbiamo aspettare?>

L’ultima domanda di Raffaele, oggi settantatreenne, richiama il biblico grido del giusto, ascoltato da un Dio che sa quando intervenire e la cui attesa non è che necessaria per un bene superiore. Guardandogli nel volto la serenità di chi vive e si esprime secondo coscienza, noi gli auguriamo di non smarrire la virtù della speranza, sostenuta dalla fede e motore della carità.

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