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domenica 2 febbraio 2020

L’immagine che non si era mai vista. Un reperto unico in mostra a Ferrara



Si dice che il buon vino si debba non solo saperlo fare, ma anche saperlo bere. In entrambi i casi, la tradizione millenaria del Bel Paese non ha certamente eguali, con buona pace dei nostri cugini francesi, che per la prima volta poterono assaggiare l’inebriante bevanda grazie alle esportazioni dei nostrani Etruschi.

Una bevanda che prima ancora dei massicci contatti con i popoli greci veniva originariamente prodotta sul suolo italico, ma che accolse in seguito l’esponenziale sviluppo offerto dalle maestranze orientali. Una storia che viene da lontano, una storia che ci parla in prima persona perché fondata su intrinseci valori che ancora oggi attribuiamo, forse con superficialità, al tanto apprezzato vino. Una storia, questa, che da sabato 1 febbraio è possibile leggere al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara. Era il 2011 quando il Metropolitan Museum of Art di New York, in un contesto generale di accordi con il governo italiano per la restituzione di opere d’arte detenute in maniera illegale fuori dal nostro Paese, richiese a gran voce un prestito importante proprio alla città ferrarese. Così, mentre dagli Stati Uniti arrivavano in Italia quaranta reperti archeologici – tralasciando le spedizioni avvenute in altri momenti e da parte di altre istituzioni – , la casa degli Etruschi di Spina si accingeva nel 2012 a inviare un vaso prezioso, desiderato proprio per la sua unicità riconosciuta sin dal suo scoprimento, e che ha fatto ritardare di qualche anno la tanto agognata restituzione al Palazzo Costabili. Per sette lunghi anni il pubblico americano ha potuto godere di una iconografia che ancora oggi rappresenta un unicum assoluto: il cratere, usato per mescolare la bevanda alcolica con acqua e aromi, mostra la tenera scena di Dioniso, dio del vino, del simposio e del teatro, seduto di profilo, mentre tiene sulle ginocchia il figlio Oinopion, il “bevitore di vino”, nonostante la tenera età. Solo osservandolo da pochi centimetri, tuttavia, si potrà ammirare la maestria caratteristica del Pittore di Altamura, con una particolarità. Gli antichi Greci, infatti, erano vittime di un ideale matematico della bellezza, che addirittura gli impediva di raffigurare un bambino per come appare nella realtà, ovvero con il capo decisamente sproporzionato rispetto al resto del corpo, se confrontato con la conformazione che si raggiunge in età matura. Il piccolo Oinopion è un perfetto uomo in miniatura. Era sin dall’inaugurazione del museo ferrarese, in epoca fascista, che il grande cratere si trovava in esposizione insieme agli altri due vasi dello stesso artista, individuato per la prima volta dall’eminente archeologo John Beazley. Ma tutta la città aspettava di rivederlo da più di venticinque anni… L’ultima occasione fu quella di una mostra al Castello Estense, terminata nel 1994.

E dopo un quarto di secolo, ad annunciare il grande ritorno a casa, durante l’inaugurazione della mostra dedicata alla ‘Trilogia di Dioniso’, le più appassionate e appassionati hanno potuto sentire dalla viva voce della direttrice Paola Desantis, della restauratrice Isabella Rimondi e della presidente Lions Club Nadia Miani, il racconto di una scommessa andata a buon fine. La scommessa di riconsegnare nelle mani della città erede di Spina alcuni dei tesori più preziosi, e mai replicati, giunti sino a noi protetti dalla spessa custodia del tempo.























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